Renzo ha fatto un lavorone, ha infranto una serie impressionante di luoghi comuni. Innanzi tutto la monocultura “carrarina” , un solo ceppo dialettale ritenuto una sorta di lingua pura rispetto ad altri idiomi locali. E’ la sola “Carrara centro” caput mundi, in realtà un pò provinciale e piena di se, anche se si scrive con la K (con la conseguenza che i centripeti vengono definiti ad Avenza e Marina “i carrarini con la K ).
Da questo Cd , invece, esce una Carrara osservata da un punto di vista originale quanto reale: Città multicentrica e multidialettale in cui tutte le parlate hanno pari dignità.In particolare l’avenzino ( volentieri ho dato il mio aiuto nella revisione) e la sua variante, il marinello, che con la partecipazione di un personaggio popolare come Sirio “Crispi” Ulivi, permette di puntualizzare quella dizione antica molto più simile all’avenzino di quanto non si pensi, semmai diversa per la calata. Quello che non vorrei sentire ripetere è un altro luogo comune “l’avenzino con influenze massesi”; che in realtà sono gli stessi suoni presenti in quasi tutti i paesi a monte (Jl e ch).
Altro luogo comune superato , è il trinomio retorico Carrara – Marmo – Anarchia. Con tutto il rispetto che si deve all’anarchismo. Sarà un caso ma questo stereotipo produce una forte delusione dei forestieri che vengono a Carrara pensando di trovare tanto marmo e tanti anarchici e invece trovano tanto sudicio e tanti borghesi (= consumisti). La rudezza del carattere enfatizzata , poi, rischia di essere un alibi per la maleducazione ( che pure colpisce il forestiero) . In realtà il carattere dei carraresi ( e non solo dei carrarini) è complesso ed articolato come lo è il suo territorio. E questa varietà fa parte della sua ricchezza.
Al contrario dello stereotipo del mangiapreti, che pure ci viene affibbiato, c’è in realtà una religiosità di base che è diffusissima e Renzo ha cercato di cogliere alle sue radici storiche. E’ una religiosità antica che ci arriva filtrata attraverso il pensiero di Mazzini, un Dio che è in tutte le cose, quindi gli approcci sono molto diversificati, ma c’é.
Si trova in questo lavoro anche la dimensione intimista di Carrara, e non è certo un concetto estraneo alla cultura carrarese, basta pensare a a C.V. Lodovici.
Ma il grande merito dell’opera è quello del recupero di antiche musiche con un lavoro certosino di ricerca filologica e , soprattutto il recupero della musicalità del dialetto. Tanto per intenderci, si diceva che un dialetto così “petroso” non era adatto per far poesie , ma già con Borgioli il discorso era più che superato. Poco adatto da mettere in musica si diceva. Eccoli serviti.
Per spiegarci meglio veniamo al capo scuola: E’ Fabrizio De André, molti riconosceranno la sua traccia nelle musiche e anche nei testi, d’altronde è un’impronta indelebile quella che ha lasciato sulla nostra generazione. E molti dicevano che sarà stato anche un grande poeta ma non un musicista. raccattava musiche dovunque, da Brassen a Telemann e le adattava ai suoi testi. E vi pare poco? I suoi estimatori hanno parlato , invece, di metabolizzazione della musica, ed anche questa è un’arte. Ma il grande artista genovese ha anche dato importanza al suono della parola, mai messa a caso. I dialetti e le lingue esprimono concetti artistici di per sé, spesso non traducibili. Eccolo quindi usare il sardo e quella che egli chiamava la meno neolatina delle lingue neolatine, il genovese. Una specie di portoghese brasileiro in salsa celto ligure, pressoché incomprensibile, ma questo non ha impedito a “ Creusa de mà” di essere una canzone simbolo. Ebbene anche il nostro Renzo ha creato dei piccoli capolavori con testi e musiche inscindibili, anche nel loro insieme. Dimostrando la poeticità e , sopratttutto , la musicalità, dei dialetti carraresi. la speranza è che, ascoltando queste canzoni, dal Putin, a Lavenza ‘n mag, dalla Madunina al Buscaiol, molti rivedano la loro posizione sul dialetto. Dialetto purtroppo preso in mezzo sia da destra ( lingua volgare , in tutti i sensi) che da sinistra o meglio da una certa sinistra ( per cui la salvaguardia delle parlate locali era solo provincialismo).
Complimenti Renzo. E grazie per l’inno nazionale.
Pietro Di Pierro